Spedizione gratuita per ordini superiori a 59,00 €

un Tè a Tōkyō

un Tè a Tōkyō

Immaginiamo i sapori che ci racconta Enrica, seduti con lei al tavolo di degustazione della Sakurai

____________________________________________________________

Fin da adolescente il tè, quello delle bustine e rigorosamente nero, ha accompagnato le mie colazioni e merende: quello l'unico conosciuto. Poi il mondo commerciale e il mio personale hanno subito un'evoluzione, così iniziai a bere il tè verde, sempre in bustina: epoca università e oltre. Successivamente, ai 40 circa, prenotai una Merenda Reale in una Torrefazione che non conoscevo: rimasi molto colpita, sia dalle golosità offerte sia e soprattutto da chi si prendeva cura dei clienti, Claudia. E poi entrai e capii il motivo di quel nome “The Tea”: mi si aprì un universo meraviglioso! Successivamente, sempre quasi casualmente, iniziai a frequentare alcuni corsi/degustazioni da Eataly: già mi ero cimentata con le cene e altri incontri presso questo tempio del gusto. E riecco quella donna! Claudia: colei che accompagna un visitatore sperduto in un labirinto di profumi, gusti, sensazioni e immensa conoscenza! L'argomento naturalmente è il tè... e scoprii che categorizzare in tè nero, tè verde e tè bianco è quasi un insulto a questo prodotto della natura e della fatica dell'uomo, che è il risultato di un lavoro incredibile e di cui ne esistono molteplici tipologie, con gusti e profumi completamente differenti l'uno dall'altro, incredibilmente tutti ricavati da una stessa pianta: la camelia sinensis.
E poi entrò in gioco il Giappone: grazie a Claudia ne avevo scoperto alcuni tè verdi, per i quali avevo una predilezione. Poi mi capitò anche di scoprirne alcuni suoi whisky: pazzeschi...


Ma l'Oriente non mi ha mai attratta realmente, non era uno di quei posti che avrei voluto visitare. Tuttavia venne La Pina (conoscitrice del Giappone, che da tempo frequenta e ama), un'altra donna speciale che da tempo ascolto (a adoro!) in Pinocchio (con Diego e la Vale) su radio Deejay. Attraverso la radio e un'agenzia turistica, grazie ai potenti mezzi della tecnologia, La Pina mi permise di conoscere e successivamente incontrare il Giappone... e anche lei stessa! Insomma, ad aprile del 2019 partii: solo una settimana, solo Tokyo. Conobbi altri partecipanti al viaggio e conobbi Leo, un uomo “grande”: ci introdusse in quella megalopoli, che non potevo credere fosse così estesa! E Leo non ci abbandonò fino a dopo la fine del viaggio accompagnandoci in ogni momento di difficoltà: per me, sola con il mio inglese (nel senso di lingua...) e un Google Maps che mi rendeva ancor più confusa, diventò il mio angelo custode a distanza!


Mi avevano preparata e illustrato cosa avrei potuto trovare in quel posto lontano, ma le mie aspettative anziché essere deluse (come spesso succede, dopo descrizioni troppo entusiaste), sono state ampiamente confermate, addirittura superate! Tanto che mi pareva di essere proprio su un altro pianeta: una pulizia che... neanche a casa propria! E la disponibilità delle persone, disposte a fornire aiuto e collaborazione, rispettose in una maniera imbarazzante... per noi che siamo così presi da noi stessi e privi di rispetto per l'ambiente e gli altri.
E poi il mio primo incontro con il tè, il loro tè, verde e buonissimo! Ovunque offerto gratuitamente, dal ristorante più economico a quello più gourmet, e ovunque molto buono e senza limiti di consumo: praticamente un “all you can drink”!

E non rinunciai certo, nonostante una serie di difficoltà, a una degustazione speciale e personalizzata di alcune varietà di “cha” (che è il vero nome del tè). E così, dopo essere salita (e scesa...) sulla Tokyo Skytree, mi diressi verso la zona di Omotesando e salii al 5° piano di un Centro commerciale: qui trovai “Sakurai”, localino che mal si intonava con quella grossa struttura che lo ospitava: piacevolmente silenzioso, sobrio ed essenziale, dall'accoglienza che già predisponeva a quella serenità e pace interiore che i gusti (inteso come senso ma anche come “piacere”) giapponesi mi trasmettono.



Enrica G. 

Attesi più di un'ora che le persone prima di me terminassero la loro degustazione, poi finalmente fu il mio turno. Scelsi la tipologia di degustazione: ovviamente la più completa! E poi una delicata e precisa Maestra del Tè, iniziò a preparare davanti ai miei occhi, al di là del bancone al quale eravamo sedute, via via le varie infusioni dei preziosi tè. Ognuno accompagnato da una specifica leccornia che andava ad esaltarne il sapore e si abbinava perfettamente: proprio come agli incontri di Claudia con i suoi allievi ai suoi corsi!

Potevo osservare quella giovane donna mentre si prendeva cura con sapienza e dedizione di quel prodotto di cui mi era permesso vederne e toccarne le foglie, sentirne il profumo e infine goderne il sapore! Wow, che esperienza...

Un po' più nel dettaglio (ma non troppo: restano le emozioni ma i nomi, ahimè, col tempo svaniscono!) ecco cosa mi venne offerto.

Iniziai con un tè verde (credo Sencha) di Kyoto, servito in un coppetta di porcellana fatta a cono (stretta alla base e con un'apertura ampia), accompagnato da due black beans (fagioli neri) morbidi e dolci: il sapore della bevanda mi ricordava quello degli spinaci cotti a vapore.

Anche la seconda infusione fu della stessa tipologia, ma l'origine geografica era differente e il contenitore più stretto e simile a una tazzetta: il gusto più delicato, meno vegetale, si accompagnava molto bene ad un dolcetto morbido con un sapore tra la castagna e la pasta di mandorle.

E poi continuai con un Gyokuro, tipologia che mai avevo assaggiato e che mi conquistò totalmente: sentii le farfalle nello stomaco e me ne innamorai! Anche per la metodologia di degustazione: una prima infusione mi venne servita in un bicchierino piccolissimo, sempre di porcellana, dopo che una clessidra ne aveva scandito l'esatto tempo di infusione. Ad accompagnarlo un dolcino morbido di fagioli e zenzero. E poi la seconda infusione, servita in una coppetta un po' più ampia e modificando i tempi della clessidra: in accompagnamento ancora ciò che restava del dolcino precedente e... le foglie dello stesso tè, appena innaffiate con un condimento acidulo (suppongo mirin ...) : un' insalatina che mi portò in Paradiso!!! Ed ebbi la conferma che quella mia bizzarra abitudine di riutilizzare le foglie del tè, accompagnandolo alle verdure cotte o crude, o al riso bollito, per darne colore e sapore (e anche nutrimento), per una popolazione che non era quella italiana, in fondo non era poi così “strana”!

Seguì un altro tè verde, nuovamente della zona di Kyoto, accompagnato da un dolcetto a base di verdure (somigliavano a sedano e rapa rossa): la coppetta di degustazione era più ampia e spessa, simile a un Chawan, probabilmente in ceramica.

E poi, per dare un po' di brio all'esperienza, per personalizzarla maggiormente, mi venne posta davanti una scatola di forma allungata, in legno, con all'interno 6 tipologie differenti di Bancha, una in fila all'altra: potevo sceglierne solo una da degustare... quanto fu difficile! Le foglie differivano così tanto le une dalle altre per colore, forma, dimensione e odore che sembrava impossibile poter essere tutti Bancha: la Maestra del tè mi diede qualche indicazione sul gusto che ogni tipologia avrebbe poi potuto avere una volta infusa, ma fu soprattutto l'odore a determinare la mia scelta definitiva. Dal colore scuro e intenso e l'odore pungente, di “animale”, che mi riportava ad una primordialità e vicinanza all'essenza della mia natura che quasi avevo rimosso: i cavalli e il loro ambiente. E il gusto, una volta infuso, era proprio quello: very strong, di selvatico e cuoio, leggermente tendente all'aspro. Mai provato un tè così, prima. Mi fu servito in un'ampia scodella, nera e leggera, e lo accompagnai a spesse fette di zenzero affumicato: i due sapori parevano creati apposta per essere accoppiati... incredibile! E di quello zenzero me ne sarei mangiata un vagone: era buonissimo...

La degustazione si concluse con quello che forse, almeno per me, è il Re dei tè verdi: il Matcha. Ancora non ne conoscevo la preparazione e vedere attrezzatura e “mescola” mi affascinò, solo tempo dopo scoprii anche la nomenclatura corretta e non traducibile. Mi fu servito, così, nel suo chawan dopo essere stato “sbattuto” col chasen, a una temperatura quasi tiepida e accompagnato da delle gelatine di foglie di ciliegia: una vera delizia!

Terminai con poca acqua calda: bocca e stomaco vanno tenuti al “caldo” per poter assaporare al meglio gli aromi del cibo. Ecco che anche ora, in un paese che non era l'Italia, quella mia strana abitudine di bere bevande calde (tè o brodi di verdura) durante i pasti, sembrava invece essere una consuetudine.

Iniziai la degustazione che erano quasi le 7 di sera e la terminai intorno alle 8.30: mi sentivo leggera, colma di una pace e di una gratificazione interiori che non mi appartengono (sono piuttosto ansiosa), quasi che percepissi una pienezza dell'anima. Furono sensazioni tanto rare quanto indefinitamente piacevoli. Uscii dal Centro Commerciale e mi avviai verso la mia successiva meta, il ristorante che avevo scelto per la cena era “Chibo”, a Ebisu. Ma questa è un'altra storia...

A Tokyo non ho incontrato solo una bevanda nazionale che mi appartiene decisamente di più rispetto a quella italiana (e lo stesso dicasi per il cibo), ma anche delle persone meravigliose e dei luoghi pulitissimi (per me, che sono una “maria pezzetta”, non è poco!) che, insieme all'assenza di delinquenza, hanno reso la mia permanenza assolutamente facilitata e molto più serena rispetto ad altre località che avevo già visitato. Mi sono sentita a mio agio, come se quelle rare abitudini che mi caratterizzano, là fossero invece la consuetudine. Quindi... non vedo l'ora di tornare a perlustrare anche altre zone del Giappone!!!

Enrica G.